#greenwashing / #packaging / #sostenibilità
Avete mai sentito parlare di “greenwashing”? Tradotto letteralmente in italiano significa “lavaggio verde” e la Treccani lo definisce come una “strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo”.
In sostanza, quindi, è un ecologismo di facciata volto a costruire un’immagine positiva di sé, anche se ingannevole, con lo scopo di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti ambientali negativi causati dai propri prodotti o dalle proprie attività.
Perché ricorrere a questa pratica? In primis per una questione economica: le aziende che fanno investimenti green negli ultimi anni hanno performance migliori rispetto alle altre, poiché la clientela è sempre più sensibile alle tematiche ambientali.
Stando alle statistiche la sostenibilità risulta essere un valore a cui i consumatori italiani non vogliono rinunciare perché, soprattutto in tempi molto recenti, le trasformazioni climatiche stanno avendo ripercussioni dirette sulla quotidianità delle persone e 3 italiani su 4 si dicono preoccupati e interessati a contribuire in qualche modo alla salvaguardia dell’ambiente.
I prodotti cosmetici, dopo quelli alimentari, sono quelli su cui l’attenzione dei consumatori si concentra maggiormente. Gli elementi a cui danno più importanza sono: il metodo di produzione, il packaging e l’italianità.
Ma quando si può effettivamente dire che un’azienda stia mettendo in atto il greenwashing?
Si può parlare di greenwashing quando si utilizza un linguaggio vago, impreciso, non ben comprensibile, frequentemente con abuso di termini green esagerati e non supportati da evidenze scientifiche.
La direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali scorrette asserisce che nei claim non dovrebbero essere utilizzati termini come sostenibile, a basso impatto ambientale, amico della natura, se non accompagnati da una dichiarazione esplicativa sul perché a quel prodotto possono essere associate certe espressioni. Tale specifica deve essere inserita in modo ben visibile. Fanno eccezione le dichiarazioni che possono essere supportate da certificazioni ufficiali, come “biologico” o “ecolabel”. In questi casi la certificazione di per sé basta come garanzia della veridicità delle affermazioni riportate in etichetta o in campagne di comunicazione.
Inoltre, bisogna fare attenzione all’associazione di certi claim con immagini, foto o suoni che rimandano all’ambiente e che possono fuorviare il consumatore.
Tra i termini “incriminati” c’è anche la parola sostenibile. Questo perché spesso viene usata in maniera troppo vaga: quando si parla di sostenibilità si può far riferimento non solo all’impatto ambientale di un prodotto, ma anche a quello sociale e/o economico. Andrebbe quindi specificato meglio al consumatore a quale ambito si fa riferimento.
Le dichiarazioni, in più, devono essere veritiere non solo in relazione al prodotto finale, ma a tutti gli aspetti pertinenti al suo ciclo di vita. Non devono, infine, essere enfatizzati aspetti marginali.
Da tutto questo si può capire quanto possa essere difficile per il consumatore finale capire se un’azienda sia sincera o se stia facendo greenwashing. Anche perché spesso le aziende non inventano di sana pianta informazioni relative ai loro prodotti, ma cadono vittime di questa pratica scorretta per over omesso dei particolari o per averne “gonfiati” altri.
Le informazioni, quindi, dovrebbero essere facilmente validabili dai consumatori che, naturalmente, non possono essere tutti degli esperti in materia.
Molti di loro, infatti, sentono di non avere le informazioni sufficienti per comprendere davvero la sincerità delle etichette e dei claim delle aziende. Solo il 10% di loro si sente abbastanza competente per poter valutare in autonomia la sostenibilità dei prodotti che acquista.
Senza dubbio una grande responsabilità è delle aziende produttrici che dovrebbero mettere in campo una maggiore trasparenza, soprattutto in un momento storico come questo dove una reale attenzione all’ambiente è una pratica non più solo auspicabile, ma indispensabile per il bene del Pianeta e di tutti noi.
Questa corsa ai “lavaggi verdi” ci dimostra proprio quanto l’ecologia e la sostenibilità siano oggi importanti. Lo sono così tanto che anche chi non è realmente green cerca il più possibile di associare il proprio marchio a questo ambiente.
Come può fare il consumatore medio a tutelarsi?
Per prima cosa può fare riferimento alle certificazioni. I disciplinari sono facilmente consultabili online e in questo modo si può capire quali criteri devono essere rispettati dalle aziende per poter essere certificate.
In secondo luogo, bisogna non essere ingenui e non farsi ingannare da un packaging che rimanda a elementi e colori della natura, a immagini o slogan vicini all’ambiente. Cercate sempre di informarvi meglio e di non fermarvi all’apparenza per capire se l’etichetta di un prodotto presentato come sostenibile lo rispecchia davvero, o se si è di fronte a una pratica di greenwashing.
Alcune tra le informazioni di questo articolo provengono dal webinar SOSTENIBILITÀ E "GREENWASHING". COME COMUNICARE CORRETTAMENTE, promosso da AssoBio. I dati statistici vengono da ricerche di Nomisma.